13 X CAMSOR CARPAR

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fionda il tuo volere
retroattività compiuta
in avanti
in continua progressione
terrore dell'incerto
incendio del vero
propulsione necessaria
coscienza del

definitiva
senza scampo
senso dialogico
puntello
logico

serenità impossibile senza
NEVRASTENIA

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IMPARARE A TACERE      
                                               
a C. P.

Buio e i lampi del sole
che s'impiglia fra i rami
un altro viaggio è compiuto
tra luoghi che hanno visto
che riconosco all'odore

l'intrusione d'uno sciocco a bloccare il vento
un fastidio che s'aggiunge ai tanti provati

il vino sorseggiato triste
insieme a chi tempo fa
ha deciso la strada
e solo tace la sua vita
da narrare a un'amica  

e non piove di notte che sulla polvere
ammuffita fra le rughe delle maschere  

uno sguardo a chi non vede.

 

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ogni carezza è un furto – ogni
anima si cerca una forma
dalla capienza incolmabile,
e apre un antro di vertigine –
d' nu pasturavàcc' ‘u cannarón' –
,
una ventosa che s'attacca
al respiro ai linfonoduli
ai desideri d'altr'anime,
per succhiarne il latte vitale –

giro di vite d'un cerchio di danza
che strega
le luci ritmate –  

si balla attoniti e a un tempo
attenti nel posare gli occhi
dove il sangue sente l'odore
del sangue – e la lingua già bagna
le labbra di premonizioni

devozioni a santa rosalia –
dea dai molti nomi, triviale –
circuizioni di satanesche
pose circonfuse, volontà
che intravedono false deità
fra la condensa sullo specchio,
dopo ogni doccia, sebastiani
in attesa di giudizio
, ninfe
che a brani divorano carne
viva, voraci, insaziabili
gole eternamente assetate,
torsioni viscerali espanse
in comportamenti stupidi,

puerili, assolutamente
fuori luogo … – meraviglioso
banchetto per chi è malato d'inedia.

 

 

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Camsor Carpar

Hai un cammino che commuove,
si è come bimbi di fronte alla
meraviglia, inebetiti,
che – mhf! … ridi, … – che eccita gli occhi,
la danza esaltante di muscoli
in sincrono – inno alla volontà.

Profonde vertigini infisse
in stratificazioni di ere –  
spaventano, i tuoi passi, cuori  
tremanti di fronte all'abisso,
anfore sigillate vuote,
scapole rattrappite, inerti.

Il profumo della tua carne
non indugia in convenevoli,
impone attenzione – ostile
o estasiata – e ispira canti
e danze panici rituali
di sabbatica devozione.

Non celare un sorriso, lascia
che inondi queste arcate basse
affumicate da un misero
gesto ripetuto, coi suoni
inauditi della bellezza –
disarmonica, sincopata.
 

Voce calda –  la tua parola
racconta di un mito proibito
di donne perché delirante – 
pathos femmineo generante
rivolta, il folle affermarsi
d'un poietico disordine.

Vorrei che tu sentissi quanto
questo sia vero in me – l'odore
che infesta e avvelena il mio sangue
innamorato delle spire
d'un liquido dolce deliquio –
ma tu sai, sorridi distante.