Fra un po’ andrò via! Non so. Ma penso sia così. 

È difficile intuire un senso, ora, ma
la disposizione è chiara, quasi affilata
come un rasoio, poggiato, dopo il rintocco
del vespro – un’ora e mezzo – per la gola, prima
di colazione. E il libro, ogni libro, memorie e istinto,
ora va chiuso! ora che ieri non è ancora
trascorso, ieri che il senso d’ogni pensiero
non trova riscontro che nel proprio suicidio
l’assaporo spesso, in quest’attimo di vita
che ha ragione feticista – ma, ovvia, una posa,
un modo per darsi importanza – proprio come
scrivere – così, solo per darsi importanza.

Ammucchiata sul catrame. Una massa informe
di silenzi e risate sbattute dal vento –
uno schiaffo – fra l’odore d’erba e di carne,
sudore bruciato dal sole.

In disparte,  
una figura nera di donna – capit’come? –
piegata su memorie e affanno di comprendere
un suicidio, perché diventi il proprio – immersa
nel clamore afasico d’un’ansia dolente
in un cerchio vuoto di steli vomitata –

quindi s’alza, disgustata della carne – per
posa? – e del sole, del chiacchiericcio inutile,
meno del suo, ripiegato e asfittico – “Dà
fastidio il nero sotto le unghie.”
   
                                                                   S’alza –
la testa a disegnare spirali – e se ne va.

Da una finestra chiusa, le tende celesti,
due uomini si raccontano - li vedo, e loro,
sotto l’attenzione d’una chimera sporta
alla sua finestra, parlano; li vedo fra
le tendine, di fianco al bar dove fra amari
e peroni si gioca l’usualità triste
d’una scopa un tressette una partita
a bigliardo – con le sponde false e le buche
larghe. Tutto diventa facile, a dirsi.
E non è così.
   
           Fuori dall’uscio, la porta  
a destra, di fronte uno squarcio, fra i semafori,
di colline, qua e là, abitate, stupende! –
e la repressione sempre pronta a intervenire,
a spiegare le sue sirene, a disturbare l’incanto.

 

il vino  2

il vino 2