DA DIETRO SBARRE

testi di

ROCCO SCOTELLARO

CARMINE ‘DONATELLI' CROCCO

YZU

1.

"Abbiamo a lungo esaminato le qualità psichiche dell'imputato, Giovanni Passannante, di la fu Salvia ora Savoia di Lucania, e non vi troviamo nulla di anormale.

La facoltà di generare le idee è in lui fuori dall'ordinario: le espressioni di cui si serve non sono quelle che la sua condizione sociale comporterebbe: esse sono spesso elevate e poggiano su informazioni di storia.

Le sue risposte rivelano una finezza e una forza di pensiero non comuni. Interrogato se si credeva in diritto di far violenza ai sentimenti della maggioranza e di turbarne la tranquillità, ha risposto:

la maggioranza che si rassegna è colpevole e la minoranza ha diritto di resisterle.

L'associazione delle idee dell'imputato è regolare, rapida. Espone con calma, con piena convinzione, la sua memoria è pronta, tenace. I sentimenti ben sviluppati, quelli altruistici più che quelli egoistici. Ama i genitori, gli amici: di sé e dei suoi bisogni, è noncurante. Finalmente, la volontà ferma, parlare chiaro, risoluto che riflette in generale in modo assai fedele il suo pensiero. Fisionomia dolce, persin sorridente; aspetto nella persona energico.

Interrogato se approva che si allegasse a sua giustificazione la pazzia, risponde:

Non temo la morte; non voglio passare per pazzo; sacrifico volentieri la mia vita ai miei principi

Tali sono le note caratteristiche di Giovanni Passanante.”

(dalla perizia medico/psichiatrica su Giovanni Passannante
redatta ex incarico dei giudici istruttori)



2.



L'ombra s'allunga nelle pieghe

linee che s'incrociano

uguali nel quadro tracciato

sulla parete che ho di fronte


monotonia d'un angolo

vogliono che m'adegui

ch'io perda senso

tutto deve trovare rispondenza

senza possibilità d'imprevisti


accecante oppressione

violenza gratuita

che non può non ricevere

adeguato compenso

odio rabbia incendiaria

ineludibile risposta.



YZU



3.

Vedevo stranamente le cose:

potevo essere a seicento metri

a livello del mare,

digradanti erano le terre

fino al fiume, e dal fiume

si alzavano altre terre

di fronte e il bosco nerastro

di Cognato; e le Dolomiti

sterili infondo da dove veniva

il fiume, e dietro il nostro bosco,

nascosto allo sguardo.


Dove il Basento pareva uno specchio,

era per la sua vena allargata

in un grande pozzo. Tutto questo,

i boschi, le terre, il fiume

mi pareva che riempisse il cielo,

il cielo col suo colore solito

era lontano e alto come una tela.


SCOTELLARO


4.


sono tornato
ancora
a odorare la polvere

uno squarcio
a spezzare un cielo cupo
violento

L'inquietante frastuono d'uno scoppio
“ E' scappat' u' Rre! ”
e tutti a far festa
come se non ne avremmo più visti
e subito un nuovo re
dall'accento e dal nome diversi
e poi un duce e poi la repubblica
e sempre gli stessi
-prima borbonici poi liberali e fascisti e repubblicani-
a tenere le terre
a essere i nuovi potenti
a tendere le mani per farsele baciare
e tutti intorno a ringraziarli per un pezzo di pane da
pagare
a chiedere: “ Per favore Vostra Grazia... “
a seguire questi nuovi-vecchi pastori

Ma chi siete?
Andate via!
Non siete degni di calpestarla questa terra
di vivere questi monti e questi boschi
non potete bere a queste sorgenti
andate via da questa terra!

Ma - in questi boschi, su questi monti -
ce ne son state donne
ci sono stati uomini che...

Sono ancora qui
sono tornato
per fuggire
domani.

YZU

 

 

5.

il mio nome è Giappone.

 

Amo la vita e le donne e le belle lettere.

Gli altri sono come me,

solo che il mio mestiere è rischioso

e mi costa la melma sul volto.

 

La galera la notte mica ce la contano;

non è un anno di pena, ma due,

se ci metti pure la notte.

 

Io sono vittima della giustizia,

sono ladro sì, ma chi non è ladro?

Non voglio essere plebeo e servo io

che ho capito le mali arti del mondo

e le so adoprare. So portarmi la pariglia

di muli mentre il padrone dorme in stalla

sul letame, perché teme il colpo;

ho corrotto non un solo giudice istruttore.

La mia carriera è cominciata

con una lite col pretore del paese,

perché non volli dargli un cane da caccia,

lo voleva per forza, perché era pretore.

 

I marescialli mangiano; le guardie carcerarie;

i presidenti; gli avvocati rubano,

gli impiegati non lavorano

per lo stipendio che si pigliano,

i preti ingannano la povera gente.

Sono ladro sì, ma chi non è ladro?

 

Amo la vita e le donne e le belle lettere.

La galera la notte mica ce la contano;

non è un anno di pena, ma due,

se ci metti pure la notte.


SCOTELLARO

 

 

6.

 

memorie della mia vita


Poveri sogni miei d'amor beati

Che nel meglio del gioir siete sfuggiti

Suggestivi e lacerati

Come uccelli nei boschi siete spariti.


L'amor che mi nacque fu amor pio

E fu stroncato dalla morte ingrata.

Nei primi sogni d'amor la mia vita

Mi trovo in un gran groviglio disperato.


Io sono contadino e ne vesto le spoglie,

E tutto ciò? Lo farò contro mia voglia.

Ma se il mio cervello s'offusca e s'imbroglia

Ne nascerà un battibecco o un piglia piglia .

 

Io, io ho rossor di questo, pien di rancor

E tu italica pien di lividor

Nostro scorno occulta, e nostro sudor;

 

Di me parlan di ferocia, e chi sa che male

E tutto si maschera del Papato e Quirinale

Ahi! cotanti duol vanno nell'oblio

Vigliacca e barbara tirannia!

 

Vai mio dolente addolorato Verso

In giro per questo universo.

E perché fango-vita, sei così perversa?

È la coscienza dell'uom che è retrocessa!

 

Io martire e non riconosciuto

Me ne infischio dei sapienti incretiniti

Da me poco sono riconosciuti

Il primo Maggio non è lungo ed il trono sarà atterrato.

 

Chi mi parla di realtà su questa vita?

Un imbecille o un impazzito,

uguaglianza bella, perché dormi?

Atterriamo questi nocivi vermi.

 

E io tra monti e valli, sfiderò la mia sorte

Fra boschi fitti inzinnanti pietre

Sarà il regno della mia morte

Con guardie gigantesche e bestie nere.

 

Caro Scotellaro, quante cose avrei da raccontare,

ma per questo spazio di misera carta non si può continuare.

 

il mio nome è Giappone.

SCOTELLARO



7.

 

CARCERI DI TRANI

canto tradizionale

 

8.


Sempre nuova è l'alba


Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

 

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

che all'ilare tempo della sera

s'acquieti il nostro vento disperato.

 

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l'oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra...

 

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l'alba è nuova, è nuova.


SCOTELLARO



9.


il serpente velenoso

“ Voi Carmine Donatelli Crocco, figlio del fu Francesco e della fu Maria Gerarda di Santo Mauro, nato nella città di Rionero in Vulture, circondario di Melfi, provincia di Basilicata, siete imputato di 75 omicidi,
dei quali 62 consumati e 13 mancati, e di un milione e duecentomila lire
di guasti, danno, incendio ecc.”

purtroppo io non ero nato per zappare il suolo,
a me non spettava la gioia dell'uomo onesto;
il serpentello della povera pazza doveva
da vero rettile schifoso, avvelenare
la sua e migliaia d'esistenze.

mio padre fu contadino e pastore,
mia madre fu sposa e cardava lana
Io crescevo coll'odio nel cuore;
in me si sviluppava con l'energia fisica,
un desiderio vivissimo di vendicare
tutte le offese ricevute
da mia madre e da mio padre
mia madre fu sposa e sapeva mia madre
che io era il serpente velenoso,
che doveva mordere i miei simili,
che doveva avvelenare tante famiglie;
che doveva perdere la figura di uomo
e prendere quella di rettile schifoso
io il serpente velenoso

Ricordo un bel tipo settuagenario,
egli ci parlava di scene brigantesche
commesse da numerosi capibanda
dal Vandarelli di Foggia al Fra' Diavolo di Itri,
da Talarico a Taccone.

Dopo il racconto quel vecchio, sagace

ci ammaestrava: “Figliuoli miei

cercate di essere sempre buoni con la legge,

coi superiori, coi signori;

fuggite i cattivi compagni,

fate del bene quando potete,

così facendo godrete libertà e stima,

e sarete sempre uomini dabbene,

che pur essendo poveri, servendo

onestamente, si tira avanti la vita

e Iddio provvede a tutto.”


Ah! ... povero vecchio!, poteva mai supporre

che colui che gli era vicino, che di tanto

in tanto gli riempiva il bicchiere,

era appunto quello che doveva rinnovellare

le scene luttuose e nefande

di Fra' Diavolo e del Vanderelli;

io, il serpente mostruoso.


Non credere però che

Carmine Donatelli Crocco

sia un ladro e un assassino

o, come taluni credono,

un funesto soggetto.

Niente di tutto ciò.


E dopo tanti anni passati in carcere,

ancora oggi m'entusiasmo pensando

ai primi giorni dell'aprile 1861,

quando dalla boscaglia di Lagopesole,

alla Ginestra, a Barile, a Ripacandida,

per tutto il Melfese, ero acclamato

quale novello liberatore

e accolto con onori trionfali.


Il moto reazionario scoppiò il 7 aprile

alla Ginestra. Contadini, pastori

cittadini di ogni età e condizione

al grido “Viva Franceschiello”

corsero ad armarsi di fucile, di scure,

di attrezzi colonici e in massa compatta

avanzammo su Ripacandida.

A una lotta aperta e cruenta

preferii la guerra d'astuzia,

per cui m'internai nei boschi

facile l'agguato e la vittoria.


Da Ripacandida a Barile, breve è il cammino;

numerose sollecitazioni mi chiamavano colà

a liberare la plebe dalle sozzure dei ricchi prepotenti,

preso il paese ne ordinai il governo.

E il mattino del giorno 10

col mio piccolo esercito di predatori

presi possesso della vetusta Venosa.



Il 14 aprile lasciai Venosa e mi gettai su Lavello

accolto al grido di “Viva Francesco II”

Dopo Lavello, Melfi, dove fui accolto

cogli onori dovuti al mio grado.

Lasciai Melfi verso il territorio di Avellino.

A Calitri, dopo fiera lotta coi militi

paesani ebbi splendida vittoria.

Ma presto i moti reazionari furono soffocati.

Molti che avevano gridato “viva franceschiello”

“ viva Crocco” ora gridavano “Viva Vittorio Emanuele”

“ Viva Cialdini”, prima reazionari, ora liberali.


Siamo al 10 agosto del 1961

Ho il cappello piumato, tunica ingallonata,

un morello purosangue, armato sino ai denti

esercito comando su mille e più uomini,

che muovono e agiscono a un mio cenno.

non più capo riconosciuto dei moti reazionari,

ma generale di formidabile banda brigantesca.

Sul far del giorno mi avvicino a Ruvo del Monte.

l'attacco fu simultaneo e terribile.


Il giorno 11 mi viene riferito

che il comando piemontese

ha deciso di attaccarmi vigorosamente.

Ho ai miei ordini 1541 uomini e 256 cavalli;

appostato fra una massa boscosa

e le ripide sponde del torrente Vomina

che importa se sono pastori, contadini, cafoni?

forse che gli eserciti attuali non sono composti

tutti di figli della miserabile plebe?

vedrete, vedrete cosa sapranno fare

questi miei pastorelli. Qui tra noi

non troverete il lusso di fucili rigati,

ma vecchi archibugi, non sciabole affilate

e accuminate, ma scuri taglienti, pistole

a pietra focaia, lunghi pugnali, coltellacci catalani.


Senza il lusso di ricche uniformi,

anzi laceri e scoperti, scalzi o con scarpe di tela,

cappellaccio alla calabrese, cartuccera alla cintola,

noi di pastorelli abbiamo sembianze

pronti a ricevervi da pari a pari.

Rivolto ai miei vecchi compagni di mestiere,

già avvezzi alla musica del piombo,

ordinai loro di montare in sella

e di prepararsi al cimento.


Erano con me il feroce Ninco Nanco,

il sanguinario Giovanni Coppa,

Agostino Sacchetiello, suo fratello Vito,

Giuseppe Schiavone, Michele Di Biase,

Tortora Donato Teschetta, Gambini,

Palmieri, Cavalcante, Serravalle

Teodori, D'amato, Sorotonde

e altri. e pure l'infame Caruso.

Alla testa di questi rinomati briganti

v'era il serpente, giusta la profezia di mia madre.


Eccoli! eccoli che si avanzano

coll'intento di fucilarci tutti.

Coraggio dunque fratelli!

facciamogli vedere che noi pastorelli

sappiamo riceverli bene, pronti

a scannarli, coma capretti.

Coraggio, io sono con voi!

se dovessimo sloggiare da qui

sarò sempre io l'ultimo a uscire.


La giornata del 14 agosto 1861 se fu fatale per noi

lo fu maggiormente per la Guardia Nazionale Piemontese.

Il 15 agosto 1861, per festeggiare la vittoria avuta

contro il presidio di Rionero,

volli che ornassero il nostro desco

200 pecore, mille di polli, due botti di vino.


Nei vari paesi del melfese

molte famiglie vestirono a lutto,

e nel lontano Piemonte altre famiglie

piansero un loro caro da noi trucidato.

Iddio non ha voluto che io morissi

e dopo trent'anni, nel ricordare

quel sangue fatto spargere, sento in me

il più profondo tra i dolori

che tormentano questa misera esistenza.


È teatro per tutti la natura

ognuno rappresenta la sua scena,

Napoleone con la sua bravura

nell'isola morì di Sant'Elena.

Così Crocco già umile pastore

dai briganti promosso generale

dopo lotte di sangue e di terrore

sconta in galera lo già fatto male.


CROCCO